Che cosa sarà mai un “Gran teatrino di Marionette” come quello proposto dal gruppo “La Fede delle Femmine”? Certo un aprirsi di taglienti sorprese, a cascata, con incantate o ironiche pause, una mise-en-abîme e un flusso incontenibile di multiverse virtualità: ma il tutto aspramente materico, in contatto con i cinque (o più?) sensi, lungo le scansioni gestuali dei burattini, “preparati” al lavoro da mani addestrate a usare più leve (magari immaginarie) che le quaranta ecc. giapponesi coi loro decenni di apprendimento richiesti.
Già il primo impatto avvolge e strappa, invita ed allontana, via per scivoli o scalini, per lampi di colori e frullare a farfalla di tendaggi, per serie telescopiche di ambienti o allusioni prospettiche, per attorcigliamenti di fili e imbrogli da mercatino, per sarcasmi bloccati tra lingua e guancia.
Ma poi ciò che più tiene in ansia, accontenta e imbarazza, estrania e familiarizza senza lasciar tregua, è il tessuto di impromptu o commenti o lacune o incroci soprattutto musicali e linguistici che riplasmano ogni elemento e fanno lievitare-sprofondare le percezioni verso un sublime rivolto simultaneamente all’alto e al basso.
E' in definitiva lo smascherano in uno scherzo che tutto fa riposare in un sorriso. Così va il mondo, così è un gruppo di contraddizioni la realtà: che le marionette conoscono più di chiunque, nel loro essere schema estremo, ostinatamente connesso ad un altrove, e, in questo caso, nella particolare “grazia”, “charis”, che queste “Femmine” hanno in sé, e di cui accendono scena e spettatori. Spettatori?
Ma questi incontri sono in realtà celebrazioni di misteri. Chissà. Ci sarà chi entra nell’iniziazione, chi no e chi forse. Là nella piccola grotta, nella petite boîte. E nessuno resterà esattamente quello che era prima, se appena sia fatto complice dell’aura di questa esperienza tanto sorniona, quanto sottilmente entusiasmata, tanto concreta quanto allucinatoria.