Re Orso

di Luigi Pestalozza

Ho sempre pensato che alle spalle della canzone d'autore civile, sociale, politica, ideale, a datare da “Cantacronache" alla fine degli anni Cinquanta, che vede fra gli inventori proprio anche la giovanissima Margot (Galante Garrone), c'è il monteverdiano recitar-cantando insieme al cantastorie popolare di ancora più lontana tradizione. In entrambi i casi, prima il recitare e poi il cantare per assicurarsi che il canto garantisca la parola, non la soprafaccia, inventi la melodia adatta, che la comunichi chiara, che non neghi appunto la recitazione. Appunto come in tutta la nostra canzone d'autore che teneva prima di tutto alle cose dette, alla rottura e all’alternativa che stavano nel suo canto misurato sulle parole, sul recitare, sul cantare le storie, per dirla con Lotman, esplosive.
In più, però, su questa strada, la particolarità di Margot, che ha subito trasformato tutto quello che ha cantato e detto, sempre, in teatro, nel senso di usare la voce in forma sempre scenica, naturalmente senza niente di operistico, ma quanto mai brechtianamente muovendola, gestualizzandola appunto scenicamente, per muovere i fatti, i rapporti, di cui parla, dentro la vita, che a sua volta sta in quel cantorecitato, in quel recitare-cantando che mostra quello che in essa c'è da cambiare. Ma allora la canzone di Margot proprio per quel suo farsi in questo modo teatro, non reclinare mai nel privato, indicare sempre una scena del nostro concreto mondo, fa irrompere, anche se non da sola, nella rivoluzionaria canzone d'autore nel suo tempo antagonistico, la favola educatrice, metaforica, di lontana matrice illuminista: per cui l'arrivo a Re Orso, ad Arrigo Boito, a sua volta proprio qui ostentatamente, vorrei dire, pedagogico in senso gramsciano, per come fantasticamente, anzi quasi surrealmente, infine proprio favolisticamente, usa la storia del terribile re che finisce poi preda per secoli di vitali insetti, come metafora della vita che non è una sola, meno che mai solo quella dei potenti, perché tutto è capovolgibile, può capovolgersi. Per cui andava musicata. Una volta che Margot ebbe deciso per ragioni di evidente sintonia, di musicarla, in maniera adeguata, appunto favolisticamente, da vera favola musicale, come era predisposta a fare, la musica di Margot fantastica anche in maniera semplice per rovesciare però a ogni momento la semplicità, la fantasia, in precisi sensi alternativi allo stato delle cose presente, del nostro tempo. ln altre parole, il musicalmente riconoscibile non diventa mai, con la Margot di Re Orso, ovvietà musicale, musica che non fa pensare, bensì diventa stravolgimento, ribaltamento del senso adombrato, è divertita, immaginosa aderenza/adesione al Boito che favoleggia di re potenti in realtà vulnerabilissimi, e di innocenti, semplici, che davvero derivando, provenendo in piena crisi simbolistica del romanticismo, dal favoloso illuministico, diventano la contestazione di cui ancora venti anni fa, o quasi, quando Margot compose Re Orso, c'era bisogno per capire, smascherare. Appunto con la sua musica, che nel CD che propone ora l’esecuzione per l'allestimento del 1985 quando Margot compose la musica per la messa in scena della compagnia "Marionette Lupi" di Torino, che convince per come davvero semplicemente subito piace, ma per subito straniare piacere e semplicità in quello che dunque arrivano a far pensare, criticamente, ma appunto per come la musica coinvolge in crescendo nell'opposto della sua apparenza di semplicità, insomma fino a far capire perché re Orso ha la voce femminile, straordinaria per determinazione comunicativa mentre inventa di continui, sulle parole, sul testo, il timbro che definitivamente comunica, di Luisa Ronchini. Le vicende esemplari non sono solo maschili. E così via per tutti i partecipanti, gli interpreti vocali, gli strumentisti. A Torino, del resto, da cui Margot e il suo Re Orso provengono, dagli anni Cinquanta c'era Sergio Liberovici che insegnava a fare teatro con la musica anche senza palcoscenico, dando vita contro il melodismo della canzone all‘italiana, come si dice, alla canzone che recita e canta insieme, che canta la storia, la cronaca, che fa scena per come agita fatti del nostro tempo mentre da essi si fa agitare, ovvero appunto diventa scenica.