Lo spettacolo mescola azioni dal vivo a immagini video che scorrono su un piccolo schermo posto in fondo alla "baracca", che mostrano principalmente gli ambienti gozzaniani, la residenza estiva del Meleto, le piazze e i palazzi torinesi. Si comincia, non a caso, con una scenetta senza parole, un'adolescente Nonna Speranza che, mossa da fili, suona il piano, e l'amica Carlotta che canta, fra gli zii plaudenti, in una villa sul Lago Maggiore. E poi, in vertiginoso contrasto, le deliziose "signore che mangiano le paste nelle confetterie", non marionette, stavolta ma bocche e mani di donne vere, che paiono gigantesche nel riquadro dell'angusta ribalta.
Non manca il lato oscuro di Gozzano, evocato attraverso il travagliato legame con la poetessa Amalia Guglielminetti, qui accostato alle penose rimostranze dell’infelice signora da lui inseguita e desiderata solo in quanto somigliantissima a Emma Gramatica, la "piccola attrice famosa" sempre ammirata e idealizzata, e plù ancora attraverso un furtivo rapporto erotico estorto a un'"agile fantesca": nulla meglio dl questo rigido orgasmo marionettistico, raggiunto su una sedia di cucina, meccanicamente, senza passione, un po' squallido, un po’ patetico, riesce a rendere l'altra faccia di una personalità tutta luci e ombre, ben lontana dall'idea comune di un Gozzano dai nostalgici languori.
La costante presenza della malattia e di un precoce senso della fine è invece meravigliosamente richiamata da una poesia non detta, solo citata visivamente, Alle soglie: c’è un apparecchio schermografico che mostra un polmone in cui spicca una macchia a forma di farfalla, c‘è un angelo della morte in forma di fanciulla che fa rintoccare lugubremente una campanella, e c'è una grande farfalla testa di morto che scende dall'alto. Il tema dei lepidotteri, molto amati dal poeta, ritorna poi nel suggestivo testo che dà il titolo allo spettacolo, con la danza leggiadra di due ballerine-farfalle, e la crisalide che l’insetto adulto abbandona lanciandosl in volo, metaforica morte da cui nasce in realtà una nuova vita. L‘incantevole spettacolo, scandito dalla voce di Carmelo Bene che declama ripetutamente il finale della Signorina Felicita, «ed io non vogllo più essere io», e accompagnato da musiche di Satie, Stockhausen, Ligeti, Cage, nonché da alcuni versi gozzaniani magistralmente cantati dalla stessa Galante Garrone, sl chiude con un filmato lancinante in cui tutto converge febbrilmente, il letto di morte del poeta, le farfalle, la Gramatica, in una sorta di affannoso addio alla vita. Se ne esce rapiti e appagati come capita di rado con attori in carne e ossa.